Friday, September 21, 2007




Chiariamoci un dubbio. Trattasi di capolavoro.
Michael Mann filma un’altra straordinaria pellicola che sia aggiunge ad opere uniche come Insider, Manhunter, Alì o, meglio, Heat – La sfida. Dico “meglio” perché il film con De Niro e Pacino ha moltissimo in comune con questo. 
E non solamente da un punto di vista prettamente tecnico.
Il talento visivo di Mann lo rende già un autore, nella sua potente capacità di trasformare la descrizione in interpretazione, l’immagine in metafora dalle molteplici chiavi di lettura. 
E così ritroviamo i luoghi, o meglio i non-luoghi dell’universo Mann. Non-luoghi perché simboli dell’alienazione dell’uomo dalla realtà, posti in cui si smette di essere se stessi per entrare a contatto con una dimensione inevitabilmente altra e distaccata. Heat si apriva con l’immagine di una metropolitana che rompe il silenzio di una città che dorme o che sembra dormire. E si chiudeva con uno scontro ormai mitico in uno degli aeroporti più grandi del mondo. Qui le posizioni si invertono ma il senso di vuoto e solitudine che questi posti evocano è il medesimo.
Come per l’ospedale, che se in Heat faceva riunire i due protagonisti, qui è il posto che sembra separarli. A questa straordinaria carrellata si aggiunge qui la discoteca. Altro non-luogo simbolo della contraddizione tra presenza fisica ed assenza mentale. Affollato di corpi eppure privo di anima.
Tutta la Los Angeles immortalata da Mann appare dunque silenziosa, glaciale metallica. Almeno nell’isolamento a cui i due protagonisti sono costretti; un killer professionista dedito solo al suo violento scopo - un Tom Cruise stranamente sotto le righe dominato da un terrorizzante grigio, figura anonima per volere del regista; un tassista (Jamie Foxx) costretto prima ad interrogarsi sulla propria esistenza poi a rivedere l’intero approccio alla vita, all’amore ed ai desideri.
Due uomini dunque apparentemente antitetici ma mai così uguali.
Ancora capaci di un sussulto infantile quando la natura selvaggia e gli istinti, genialmente rappresentati con talento visionario da un coyote che attraversa le strade desolate di Los Angeles, interrompono per un attimo che loro sofferenti esistenze.



Thursday, September 20, 2007

Ricordi + Sogni = Capolavoro.




Dopo Essere John Malkovich e Il Ladro di Orchidee il giovane sceneggiatore Charlie Kaufman scrive un'altra di quelle opere che ti restano dentro e sconvolgono per la loro rara straordinarietà e genialità. Devastato come spesso accade oggi dalla distribuzione italiana, il titolo originale, tratto da Alexander Pope, è forse la migliore frase possibile per creare un giusto approccio al film: The Eternal Sunshine of the Spotless Mind, che in italiano potrebbe suonare più o meno L’eterno splendore della mente candida. Ed è questo tutto ciò che i due protagonisti cercano. O, meglio, pensano inizialmente di volere. Eliminare dalle proprie menti ogni traccia di ricordi che li vedano insieme e, di conseguenza, tornare ad essere indifferenti l’uno all’altra, come se mai nulla fosse accaduto e come se il destino non li avesse mai fatti incontrare. Ma il destino è bizzarro.
L’idea di partenza è questa, semplice quanto travolgente. Il talento visionario del regista e la capacità di Kaufman di penetrare le storie e di sezionarle nei significati fanno il resto.
Ed è così che il film si trasforma in uno splendido viaggio di Carrey - forse nella sua migliore interpretazione dai tempi di The Truman Show - nei labirinti imprevedibili della sua memoria, dei suoi ricordi immediati quanto di quelli più lontanamente infantili. Ricordi di un bambino che si nasconde dalla mamma o che litiga con gli amichetti soccombendo ancora una volta. Un viaggio senza fine che, seppur iniziato per distruggere un amore, si evolverà in un commovente tentativo di salvarlo ad ogni costo.
Perché l’amore vale la pena di essere vissuto anche se destinato a finire; anche se ne conosciamo a priori le sorti.
E mi torna in mente una struggente frase pronunciata da Nicholas Cage ne Il Ladro di Orchidee. Mi pare fosse più o meno così:
“Non importa se l’amore sia ricambiato oppure no. È una cosa tua che nessuno ti potrà mai levare e nessuno potrà mai obbligarti a non amare qualcuno. L’amore è tuo, non di chi ami.”
Credo sia proprio così.

Natale 2005 - King Kong: un tenero film sull'amore.


Alla fine è arrivato. L’ho atteso 2 anni come avevo atteso ogni singolo capitolo della trilogia dell’anello. E come allora la snervante attesa è stata più che premiata.
Difficile dire se sia capolavoro meno. Certo, è l’unico film che valga la pena davvero di vedere durante queste feste…e non solo. Non mi parlate di Narnia vi prego, e non parlatemi dei cinepanettoni di Neri Parenti o Pieraccioni. Qui voliamo alto verso terreni più o meno inesplorati dell’emozione umana e verso una rivisitazione del mito della bella e la bestia da far dimenticare ogni rilettura precedente. E’ di ieri la notizia che la BFCA assegnerà a King Kong il 9 gennaio un premio speciale dopo che molti membri dell'associazione avevano espresso la volontà di votare il gorilla come miglior attore. Non mi parlate dunque di pupazzi animati o di squallido utilizzo di effetti speciali.
Ma veniamo alla pellicola.
187 minuti di godimento assoluto, non solo per un pubblico che vede al cinema come mero strumento di entertainment ma anche – e sottolineo soprattutto – per quei palati più cinefili che nel cinema cercano altro. Letture più o meno esplicite, citazioni più o meno colte, capacità assolute di governare lo strumento tecnico. Sfido chiunque a parlare di brutto film. Non scherziamo.
Certo, l’inizio è lunghino – 75 minuti prima di imbattersi in Kong – ma del tutto funzionali all’azione ed alla costruzione dei personaggi anche più piccoli. Certo la storia a molti è nota ma assicuro chiunque che ci sono almeno una decina di trovate, anche scenografiche oltre che di sceneggiatura, che valgono da sole il prezzo del biglietto. Le emozioni sono tante e di ogni genere, da quelle più vicine al terrore a quelle più vicine a sentimenti di dolcezza difficilmente espresse prima e comunque uniche. Non fatevi bloccare dal pregiudizio che avete nei confronti del film fantastico o del film con mostri. Non siamo in questo territorio. Non andate a cercare emozioni in altre sale che non siano quella dove mandano Kong con la scusa che a Natale è meglio farsi due risate. Questo non solo “è” il film di natale, per il semplice fatto che ci parla di amore vero ed incondizionato, in tutte le sue espressioni, ma è un film intelligente e “pieno”. Saranno i soldi meglio spesi di quest’anno che finisce, ve lo assicuro.
Io sono già alla seconda visione. Non so se ce ne saranno altre, ma le prime due mi hanno concesso di sognare ad occhi aperti. Non toglietevi questa possibilità.
Buon Natale!

Wednesday, September 19, 2007

Simpsons: The Movie





Moderno. Irriverente. Cattivo. Intelligente. Scomodo. Quanti aggettivi si sono usati e quanti se ne usano tutti i giorni per parlare della più longeva delle serie Tv americane. Ed anche la più importante della storia secondo il Times.
Insomma vietato liquidare questo come l'ennesimo adattamento cinematografico dalla TV. Chi lo fa sbaglia. Chi lo fa dimostra di non averne capito l'importanza come evento socio-culturale. E non importa che lo stesso Homer in incipit ci dica quanto siamo stupidi perchè andiamo al cinema e paghiamo per vedere qualcosa che gratis danno in TV. The Simpsons Movie va visto.
Certo, non tutti potranno apprezzarne la profondità delle citazioni. Ma chi ha visto "An inconvenience truth", il documentario sul riscaldamento terrestre di Al - mancato presidente - Gore, coglierà anche il lato più preoccupante/preoccupato del film. Ok, c'e' della retorica, specie sul finale. Ok non è altro che lo show televisivo prolungato per due ore. Ma ci sono almeno una ventine di scene che valgono il prezzo del biglietto. Intendo DA SOLE valgono il prezzo del biglietto. Di questi tempi non è poco.
Una per tutte? La racconto perchè non costituisce spoiler. Diciamo solo che c'e' una catastrofe annunciata. Ad un certo punto la "macchina da presa" indugia su due edifici. Bar e Chiesa, adiacenti e sulla stessa strada. Ecco. E' il momento di massimo panico oltre che di probabile morte e cosa succede? I fedeli fuggono dalla chiesa per entrare nel bar ad ubriacarsi. Gli avvinazzati scappano in chiesa per pregare e pentirsi dei peccati commessi in una vita di dissoluzione. Meglio di un manuale di Sociologia.

Nothing Else: il blog di Gianluca Iarussi